martedì 8 marzo 2016

Il merito di essere John o di essere Claudia.

"Caro John, nipote di...": lettera di una ragazza disoccupata a Elkann

Certe persone vivono una realtà parallela e privilegiata, a volte, come nel caso del sig. Elkann, solo per puro caso e non per particolari meriti.
Svolgono ragionamenti e analisi che non c'entrano niente con la vera realtà.
Ma non hanno vergogna non hanno pudore perchè non se ne rendono conto.
Da questo punto di vista sono innocenti.

Però, che Qualcuno abbia pietà/misericordia di loro, perché non sanno, ma non sanno proprio quello che fanno, figuratevi quello che pensano e dicono, perché io, dopo certe parole, a provare pietà/nisericordia per il sig. John Ekìlkann faccio molto fatica.

Bella la lettere che scrive Claudia in risposta a quelle miserevoli parole!
Merita massima diffusione.

ms


John Elkann: "Molti giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa"

Il presidente della Fiat faccia a faccia con gli studenti di Sondrio. "Le opportunità di lavoro ci sono, le colgono altri". "Non è vero che non c'è domanda. Se mai, non c'è offerta". Un giovane gli chiede: "Perché continua a lavorare?". Risposta: "Fare rende la vita più interessante che stare sempre in vacanza"


Caro John Elkann,
quando l'altro ieri ho letto le sue parole ho sentito il bisogno di pubblicarle immediatamente su facebook con una frase siciliana abbastanza volgare a commento. Mi sono scusata perché generalmente non amo esprimermi con certi termini in pubblica piazza, ma un’amica mi ha fatto riflettere che anche lei, con quello che ha detto riferendosi ai giovani disoccupati (il 40%, una cifra non da poco), è stato molto volgare, probabilmente anche più di me.
Vede, caro Elkann, io ho 29 anni e vivo ancora a casa con i miei, che ringrazio per avermi dato la possibilità di studiare (dato che purtroppo ancora oggi, nel 2014, non è un diritto che appartiene a tutti) e di avere ogni giorno un piatto caldo a tavola. Il vivere con loro, per quanto li ami, non mi fa stare bene o a posto con la mia coscienza e la mia voglia di rendermi indipendente, né mi fa essere meno ambiziosa. Il mio vivere con loro è una fortuna e una necessità allo stesso tempo. Una fortuna perché, a differenza di molti, mi posso permettere una famiglia che mi sostenga e che mi faccia da ammortizzatore sociale in un Paese che non ne possiede molti; una necessità perché, nonostante mi sia laureata nel 2009, abbia un master, varie certificazioni, stage a volontà e brevi esperienze lavorative alle spalle, ancora non ho trovato un lavoro vero che mi dia la possibilità di abbandonare la casa dei miei e “costruirne” una mia.
Già, perché il mio cognome è Rizzo: un cognome a cui sono fortemente legata ma che non rimanda a nessuna famiglia miliardaria, a nessun nonno fra i più importanti imprenditori d’Italia (il mio era un contadino), a nessuna altolocata élite torinese. Sarà forse per questo che a 21 anni non sono stata inserita nel CDA dell’azienda che sta lasciando a piedi migliaia di lavoratori? Sarà forse per questo che non ho avuto la possibilità di fare esperienze di lavoro importanti in giro per il mondo? Sarà forse per questo che continuo a non poter scegliere il mestiere per il quale ho studiato e a dovermi invece accontentare di quello che passa il convento (pur di evitare di chiedere sempre soldi ai miei)? Sarà forse per questo che ho passato giorni davanti a un computer a pigiare un tasto nella speranza di poter accedere a un tirocinio bandito per i cosiddetti Neet per soli 400 euro al mese (ecco come ci aiuta lo Stato)? Sarà forse per questo che ho accettato un lavoro dove mi pagavano 2,50 euro all’ora, ho fatto volantinaggio vestita da Babbo Natale per un supermercato o la posteggiatrice per un giorno?
No, ovviamente è perché sono una parassita che sta bene a casa di mammà e che non ha ambizioni. Come me milioni di persone, come me tutti quegli amici che, dalla Sicilia, con una laurea in mano e dei sogni mai realizzati, sono scappati in cerca di fortuna: c’è chi ha pulito i bagni degli ostelli scozzesi, chi si trova a Londra a servire ai tavoli, chi a Milano in cerca di stabilità, chi sta per partire perché ha perso il lavoro in nero e non ha più i soldi per pagare un affitto.
Non mi sembra di raccontarle nulla di nuovo, perché questo accade ormai da anni a migliaia e migliaia di giovani. Però a questo punto mi viene da chiederle: quanti curricula ha mandato nella sua vita? Quante non risposte ha ricevuto? Quanti “grazie, la terremo in considerazione, ma al momento non assumiamo” si è sentito dire? Quante volte ha dovuto abbandonare la sua città, la sua famiglia e i suoi amici perché non riusciva a guadagnare abbastanza? Quanti lavoretti ha svolto per sostenersi gli studi? Quante volte ha dovuto accettare dei compromessi perché le serviva un lavoro per aiutare i suoi genitori in difficoltà? Quante volte ha dovuto rinunciare ai suoi sogni perché non si poteva permettere di sognare? Quante volte ha pensato “non ce la farò mai a costruirmi un presente, un futuro, una famiglia”? Quante volte è stato licenziato ed è stato lasciato solo? Quante volte è stato cassintegrato perché la sua azienda ha deciso di delocalizzare? Quante volte ha visto passare davanti a lei un raccomandato “figlio o amico di”?
La prego di contare, sarà bravo dato che è un ingegnere plurititolato, e di dare una risposta sincera a tutti quei bamboccioni choosy che si ostinano ancora a voler vivere nel proprio Paese a delle condizioni che minano qualsiasi tipo di dignità, da quella emotiva a quella esistenziale, da quella lavorativa a quella morale. La prego di avere la decenza di chiedere scusa per le volgarità che le sono uscite dalla bocca, di non offendere chi ce la sta mettendo tutta e non ci riesce perché il Paese è pieno di “figli o amici di”, la prego di guardare alla sua immensa fortuna e ringraziare di essere nato nel posto giusto nella famiglia giusta. Perché, vede, forse al contrario suo sarò una bambocciona choosy, poco ambiziosa e che si culla nella casa di mamma e papà, ma almeno, a differenza sua, ho l’umiltà di riconoscere molte mie fortune (in un mondo pieno di disuguaglianze) e di non giudicare gli altri.
Claudia Rizzo

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