martedì 15 marzo 2016

Zia Leti e il ponte di Angelo. Don Marco, al secolo Keatz.

Della serie: "L'insostenibile leggerezza delle parole (Parabole) di Don Marco, al secolo Keatz."


Il cielo cianotico e i primi goccioloni più che un presagio manifestavano una certezza: il
Don Marco - Keatz
temporale, di lì a poco, si sarebbe scatenato. Doveva trovare un riparo, per sé e anche per la bici. Meno male, pensò, il portico della chiesa è a pochi passi.
Vide che un uomo sulla sessantina l’aveva preceduta, ne fu lieta. Avrebbe trascorso l’attesa del termine della pioggia in compagnia.
-      Buongiorno –disse in tono cordiale l’uomo
-      Buongiorno , mi sa che ne avrà per molto – rispose lei guardando il cielo.
Il piccolo scambio di cortesie diede inizio ad un dialogo assolutamente attraente per la donna, anche se i contorni erano più quelli di un racconto che l’uomo fece della sua vita, in un faticoso italiano, ma con una cordialità immediata. – Mi chiamo Angelo e vengo dalla Bosnia precisamente da Mostar. Sono in Italia per far visita a mio figlio, abita qui con la sua famiglia. Purtroppo mia moglie è morta durante la guerra e ora vivo solo, così una volta all’anno vengo a trovare mio figlio.-
Quasi in sintonia con il temporale continuò a raccontare; la sua vita il suo lavora da muratore, la sua città bella e martoriata. Un tortuoso alternarsi di dolori , gioie e affetti familiari, intense e sofferte relazioni dentro lo scenario drammatico della guerra e di una pace da costruire e custodire. Un passaggio colpì in modo particolare la donna che ascoltava, affascinata da quella vitale narrazione. Forse anche perché una lacrima bagnò il sorriso di Angelo, custode di una gioia ormai radicata.
- …..è stata un’esperienza che mi ha lasciato una traccia indelebile. Avere avuto la soddisfazione di contribuire alla ricostruzione del ponte simbolo della città e distrutto dalla guerra. Ridare la possibilità della comunicazione tra le due parti del paese. L’indimenticabile spettacolo di quel 22 luglio di nove anni fa quando la Stari Most venne riaperto. La gioia di uomini e donne di tutte le età che potevano tornare ad incontrarsi. Quel ponte ricostruito, nuovamente percorribile, aveva generato una festa. La festa di un’umanità che nonostante gli ancora visibili segni di distruzione, poteva ancora sperare. La vita esplodeva nei passi che solcavano quel ponte. Il ponte segno e strumento di un orizzonte pieno di fiducia, nel quale poter tessere trame di meravigliose relazioni.-
La donna con gli occhi chiusi ascoltava in silenzio. Nel vortice di pensieri che popolava la sua mente uno ebbe il sopravvento: Gesù il pontefice. Il pontefice tra il cielo e la terra, che con la sua Incarnazione e la sua Pasqua ha rigenerato la fiducia nel cuore dell’uomo verso Dio, nel cui cuore la fiducia verso l’uomo non è mai venuta meno.
Smise di piovere e giunse il momento dei saluti. La stretta di una mano carica di storia e di fatica, la cui ruvidezza appariva come il tocco vellutato di una carezza. La donna scusandosi disse – non le ho detto il mio nome, mi chiamo Leti e mi prendo cura dei più piccoli. –
Di rimando Angelo rispose – è un bel mestiere, lo faccia con passione e arrivederci.-
Se ne andò. Leti rimase ancora con gli occhi chiusi a ripensare a quel fugace incontro. Grida di bambini la distolsero dalla sua riflessione – zia Leti vieni a giocare -. Lei aprì gli occhi e guardò il cielo e vide lo splendore di un ponte tutto colorato.

Una piccola storia certamente inventata, ma molto simile a tanti incontri che si possono vivere. Penso che ogni incontro sia come un ponte gettato nell’umanità variopinta. Custodire dentro di noi il desiderio di ponti sempre nuovi e più resistenti, arrendendoci solo ad abbracci e carezze che ci facciano crescere in umanità.

D. Marco

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