Della serie: "L'insostenibile leggerezza delle parole (Parabole) di Don Marco, al secolo Keatz."
Il cielo cianotico
e i primi goccioloni più che un presagio manifestavano una certezza: il
temporale, di lì a poco, si sarebbe scatenato. Doveva trovare un riparo, per sé
e anche per la bici. Meno male, pensò, il portico della chiesa è a pochi passi.
Don Marco - Keatz |
Vide che un uomo
sulla sessantina l’aveva preceduta, ne fu lieta. Avrebbe trascorso l’attesa del
termine della pioggia in compagnia.
- Buongiorno –disse in tono cordiale l’uomo
- Buongiorno , mi sa che ne avrà per molto –
rispose lei guardando il cielo.
Il
piccolo scambio di cortesie diede inizio ad un dialogo assolutamente attraente
per la donna, anche se i contorni erano più quelli di un racconto che l’uomo
fece della sua vita, in un faticoso italiano, ma con una cordialità immediata.
– Mi chiamo Angelo e vengo dalla Bosnia precisamente da Mostar. Sono in Italia
per far visita a mio figlio, abita qui con la sua famiglia. Purtroppo mia
moglie è morta durante la guerra e ora vivo solo, così una volta all’anno vengo
a trovare mio figlio.-
Quasi
in sintonia con il temporale continuò a raccontare; la sua vita il suo lavora
da muratore, la sua città bella e martoriata. Un tortuoso alternarsi di dolori
, gioie e affetti familiari, intense e sofferte relazioni dentro lo scenario
drammatico della guerra e di una pace da costruire e custodire. Un passaggio
colpì in modo particolare la donna che ascoltava, affascinata da quella vitale
narrazione. Forse anche perché una lacrima bagnò il sorriso di Angelo, custode
di una gioia ormai radicata.
-
…..è stata un’esperienza che mi ha lasciato una traccia indelebile. Avere avuto
la soddisfazione di contribuire alla ricostruzione del ponte simbolo della
città e distrutto dalla guerra. Ridare la possibilità della comunicazione tra
le due parti del paese. L’indimenticabile spettacolo di quel 22 luglio di nove
anni fa quando la Stari Most venne riaperto. La gioia di uomini e donne di tutte
le età che potevano tornare ad incontrarsi. Quel ponte ricostruito, nuovamente
percorribile, aveva generato una festa. La festa di un’umanità che nonostante
gli ancora visibili segni di distruzione, poteva ancora sperare. La vita
esplodeva nei passi che solcavano quel ponte. Il ponte segno e strumento di un
orizzonte pieno di fiducia, nel quale poter tessere trame di meravigliose
relazioni.-
La
donna con gli occhi chiusi ascoltava in silenzio. Nel vortice di pensieri che
popolava la sua mente uno ebbe il sopravvento: Gesù il pontefice. Il pontefice
tra il cielo e la terra, che con la sua Incarnazione e la sua Pasqua ha rigenerato
la fiducia nel cuore dell’uomo verso Dio, nel cui cuore la fiducia verso l’uomo
non è mai venuta meno.
Smise
di piovere e giunse il momento dei saluti. La stretta di una mano carica di
storia e di fatica, la cui ruvidezza appariva come il tocco vellutato di una
carezza. La donna scusandosi disse – non le ho detto il mio nome, mi chiamo
Leti e mi prendo cura dei più piccoli. –
Di
rimando Angelo rispose – è un bel mestiere, lo faccia con passione e
arrivederci.-
Se
ne andò. Leti rimase ancora con gli occhi chiusi a ripensare a quel fugace
incontro. Grida di bambini la distolsero dalla sua riflessione – zia Leti vieni
a giocare -. Lei aprì gli occhi e guardò il cielo e vide lo splendore di un
ponte tutto colorato.
Una
piccola storia certamente inventata, ma molto simile a tanti incontri che si
possono vivere. Penso che ogni incontro sia come un ponte gettato nell’umanità
variopinta. Custodire dentro di noi il desiderio di ponti sempre nuovi e più
resistenti, arrendendoci solo ad abbracci e carezze che ci facciano crescere in
umanità.
Nessun commento:
Posta un commento