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«Essere stato il prete dell’oratorio, nello stile ambrosiano». Monsignor Ennio Apeciti spiega con queste parole la via della santità percorsa da don Mario Ciceri, il sacerdote ambrosiano che domani sarà elevato agli onori degli altari durante la cerimonia di beatificazione, che lo vedrà accomunato ad Armida Barelli, cofondatrice dell’Università Cattolica, fondatrice del ramo femminile dell’Azione cattolica e di un Istituto di vita secolare.
«Il nostro don Mario, non ha fondato nulla, non ha lasciato istituzioni di alcun genere – sottolinea monsignor Apeciti che è il delegato arcivescovile della causa –, ma rappresenta un caso di fama di santità che sin dalla sua morte, avvenuta il 4 aprile 1945 per le conseguenze di un grave incidente stradale, lo circondava tra i suoi parrocchiani di Sant’Antonino martire a Brentana di Sulbiate» oggi in provincia di Monza-Brianza.
Una fama di santità che la comunità di Sulbiate ha custodito per oltre 75 anni. «Fu proprio una rappresentanza dei suoi ex oratoriani a presentarsi da me chiedendo di aprire la causa di beatificazione nei primi anni Duemila – racconta il delegato – e non nascondo che all’inizio ero perplesso. Ma ammetto che fui colpito dall’avvertire come don Mario fosse ancora vivo nella loro comunità. Una presenza concreta».
Don Mario Ciceri nasce l’8 settembre 1900 a Veduggio, in provincia di Milano, quarto di sei figli. Già all’età di 8 anni esprime il desiderio di diventare sacerdote. Entra nel Seminario minore di San Pietro a Seveso nel 1912 iniziando il percorso di formazione che lo porta all’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 14 giugno 1924 e presieduta dall’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi, che lo destinerà come sacerdote dell’oratorio proprio a Brentana di Sulbiate. Sarà la sua prima e unica destinazione. È nella sua attività di coadiutore che sarà capace di «prendersi cura delle anime che gli erano state affidate» e costruirà il suo percorso di santità.
«Ascoltando le testimonianze di chi lo ha conosciuto – racconta ancora Apeciti – mi ha colpito come ognuno di loro trovasse sempre don Mario pronto e attento ad accoglierlo. E non solo: alcuni raccontano che era sempre in chiesa a pregare o confessare, altri che era sempre con i ragazzi dell’oratorio, altri ancora che sapeva essere presente dove c’era un malato. Insomma don Mario c’era sempre per tutti».
E non si tratta solo di essere presente, ma anche di essere significativo per chi lo ha incontrato. È lui a costituire in parrocchia il primo gruppo di Azione cattolica e a rifiutarsi di consegnare alle autorità fasciste registri e bandiera, anche «in osservanza di quanto deciso dall’arcivescovo di allora».
E poi la creazione del foglio di collegamento con i suoi ragazzi partiti per la seconda guerra mondiale: «Si chiamava “Voce amica” – precisa il delegato arcivescovile – e riprendeva quanto venne fatto durante la prima guerra mondiale con gli allora seminaristi ambrosiani. Segno di una sua capacità di restituire quanto imparato negli anni della formazione», che tra l’altro ha condiviso con altri tre beati ambrosiani: don Carlo Gnocchi, padre Clemente Vismara e don Luigi Monza.
Una figura, quella del futuro beato, che «ha molto da dire anche ai preti di oggi – spiega monsignor Apeciti –. Don Mario è figlio del suo tempo e della teologia di allora, ma insegna ancora adesso l’importanza del senso di appartenenza, l’obbedienza e l’attenzione verso il proprio vescovo, e una disciplina sacerdotale con la fedeltà alla preghiera, alla Messa, alla confessione, alla meditazione sulla Parola di Dio».
E ai fedeli? «Ai suoi ragazzi continuava a dire di non accontentarsi del minimo, di non essere mediocri, ma di pensare in grande. Sosteneva che un cristiano o è santo o è un mediocre. Quell’insegnamento è entrato nel profondo dei suoi ragazzi, che lo hanno trasferito nel tempo ai loro figli».
Una devozione passata di generazione in generazione, così forte che davanti a una bambina di 7 anni di Veduggio (paese natale di don Mario) affetta da megacolon e in punto di morte, i suoi parenti decidono di affidarsi al loro don Mario. «Un miracolo ottenuto per sua intercessione e significativamente concesso a una bambina che frequentava l’oratorio» sottolinea monsignor Apeciti.
Sempre presente per tutti
Mario Ciceri nasce a Veduggio, piccolo paese in provincia di Milano, l’8 settembre 1900. È il quarto di sei fratelli. Riceve la Cresima nel maggio del 1908 (un tempo questo Sacramento veniva amministrato prima di aver fatto la Prima Comunione, che riceverà nel 1910) e già in quella occasione dice al suo parroco di volersi fare sacerdote.
Nel 1912 entra nel Seminario minore di San Pietro a Seveso iniziando così il suo percorso di formazione al sacerdozio nella Chiesa di Milano. Il 14 giugno 1924 viene ordinato sacerdote nel Duomo di Milano dall’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi.
All’indomani della sua ordinazione viene nominato coadiutore (sacerdote dedicato all’oratorio) nella parrocchia di Sant’Antonino Martire a Brentana di Sulbiate.
Durante la Seconda guerra mondiale mantiene contatti con i suoi ragazzi al fronte e aiuterà chiunque avesse bisogno.
La sera del 9 febbraio 1945 mentre torna a casa in bicicletta viene travolto da un calasse che non si ferma. Morirà per le ferite il 4 aprile 1945.
La Veglia nella parrocchia di Sulbiate
La sua comunità parrocchiale si prepara alla beatificazione di domani mattina, sabato 30 aprile, nel Duomo di Milano presieduta dal cardinale Marcello Semeraro prefetto della Congregazione delle cause dei santi, con una serata di preghiera per accompagnare in questo ultimo tratto il «suo don Mario», che è sepolto nella chiesa parrocchiale. Qui, stasera, alle 21 si svolgerà un momento di preghiera e riflessione sull’opera e la figura del futuro beato, che sarà presieduto dal vicario episcopale della zona 5 dell’arcidiocesi ambrosiana (Monza) monsignor Luciano Angaroni.
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