martedì 10 ottobre 2023

Da che parte stai? - Dalla parte di chi soffre, dalla parte della Pace.


Non ci dovrebbe essere possibilità di scelta, rispetto a quanto ancora sta avvenendo al popolo israeliano e al popolo palestinese. Invece, purtroppo, molti si schierano scegliendo una delle due parti di questo infinito feroce conflitto, alimentando il fuoco della guerra con parole incendiarie. Quando invece l'unica alternativa, la sola soluzione possibile di questo dramma, l'unico rimedio alla sofferenza e alla disperazione della guerra è la Pace. L'unica parte nella quale stare. 

Di seguito l'analisi lucida e umana che condivido di Tommaso Montanari:

«Con chi stai? Con chi ti schieri?» Di fronte all’estrema violenza di questa nuova, ennesima fiammata di un conflitto infinito, mi fa paura la cecità di chi, qua, risponde con eguale violenza, seppure verbale. Mi schiero con i morti, con i feriti, con le famiglie israeliane che hanno un figlio preso in ostaggio, con le famiglie palestinesi che aspettano la rappresaglia che le cancellerà. Con chi non ha mai deciso nulla, e ora perde tutto. In queste ore terribili, penso innanzitutto alla disperazione (infinita ed identica) dei miei amici israeliani e dei miei amici palestinesi: da tempo in lotta con i loro rispettivi governi. Governi nemici innanzitutto dei loro stessi popoli. Come ha scritto sabato il giornalista israeliano Haggai Matar (972mag.com/gaza-attack-co), «il terrore che gli israeliani stanno sentendo in questo momento, me compreso, è un frammento di ciò che i palestinesi hanno sentito». Riapro Apeirogon – il forte romanzo di Colum Mac Cann, i cui protagonisti sono due padri, uno israeliano e uno palestinese, che si incontrano e diventano amici avendo avuto ciascuno un figlio ucciso dai combattenti dell’altro popolo: una storia vera –, e leggo: «Rumi, il poeta, il sufi, ha detto una cosa che non dimenticherò mai: “Al di là del giusto e dello sbagliato c'è un campo: ci incontreremo lì”. Avevamo ragione e torto e ci siamo incontrati in un campo. Ci siamo resi conto che volevamo ucciderci a vicenda per ottenere la stessa cosa, la pace e la sicurezza. Immaginate che ironia, è pazzesco». Penso alla violenza folle di un’organizzazione militare, sorretta da un orribile regime teocratico, che dice di voler difendere il suo popolo: facendolo massacrare. Penso alla violenza folle di uno stato che si dice democratico, e che pratica una segregazione così crudele da spingere i suoi vicini a scegliere tra una morte rapida e una lenta. Penso che «non c’è una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che naturalmente emerge come risposta all’apartheid violento» (ancora Matar). E penso al tradimento etico e politico di un Occidente che mette alla finestra la bandiera di Israele e incita alla guerra e alla rappresaglia. E al tradimento del mondo povero, che mette quella della Palestina e inneggia a omicidi e rapimenti. Quando l’unica bandiera che ora dovrebbe avere spazio è quella della pace. Unica vera alternativa a due tentati, contrapposti, genocidi. «Il mondo è guasto», diceva Tony Judt. Mai come ora lo vediamo.

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