Quella degli altri di Massino Spinolo
La verità è che vi odio tutti.
Questo accade di giorno, figuriamoci la notte.
Sì, in parte è dovuto ai profumi stupendamente tossici delle vostre marmitte ma l’elenco dei motivi sarebbe infinito.
Vi detesto quando neanche salutate oppure se, dopo avermi consegnato il biglietto, rimanete con la mano in attesa del resto, mentre invece sono io che aspetto i soldi da voi. E la chiudo qui perché altrimenti dovrei citare le pericolose frenate all’ultimo momento, le mani sporche di qualunque cosa o le monetine che volete sbolognare, riempiendomi di tondini metallici che maledirò nel chiudere la cassa. Vi abbuono i piedi sul cruscotto e la radio a volumi impossibili.
Il mio lavoro, oltre ad essere piuttosto ripetitivo, ha pure una bruttissima qualifica: esattore.
Per questa ragione, è evidente, mi odiate anche voi.
Le radici del mio odio però sono più profonde, intime. Non vi sopporto perché mi considerate un estraneo. Anzi: non mi considerate proprio.
Eppure eccovi qui, tutti i giorni, e siete tra i quattrocento e i cinquecento a turno. Tanti, per poco tempo e con i soldi di mezzo; ci sarebbe da scrivere un trattato di sociologia.
Che vite sono le vostre? Dove andate e da dove venite? Dopo tutto mi versate un pedaggio, viaggiate sull’asfalto a pagamento che io presidio e dunque dovreste mettermene a parte.
Quel catrame a grana grossa vi serve per andare al lavoro, in vacanza, dall’amante, a vedere la partita, a trovare parenti. Per voi però conto meno di zero, un insetto chiuso in un casello.
Invece sono io che legittimo quel tratto della vostra vita. E’ la mia strada ma, a quanto pare, diventa solo quella degli altri.
Poi di notte, si diceva, il detestarvi va sublimando e diventa pura essenza. Un sordo moto dell’anima che si fonde con il buio.
Siamo in tre. A parte il fine settimana è il solito numero di luci verdi che vedete, avvicinandovi alla barriera di Milano sud.
Un quarto collega gestisce l’entrata ed è l’incarico più ambito. Ci si deve preoccupare solamente che non finiscano i rotoli dei biglietti e di preparare i fondi cassa, per gli esattori montanti nel turno successivo. Roba da un’oretta al massimo e poi sarà solo noia.
Di notte si ha anche il compito di attendere i corrieri dei giornali, che intorno all’una escono da Milano per rifornire le edicole. Una tradizione consolidata vuole che si regali al casello una mazzetta di quotidiani e fa sempre un certo effetto leggere Corriere e Gazzetta in anteprima.
Io comunque preferisco l’incarico alle porte di uscita e anche stanotte la sto passando così, con davanti un piazzale semivuoto che tra le due e le quattro lo diventerà del tutto.
E’ il dieci agosto 1982 e il tepore di San Lorenzo potrebbe anche far cadere qualche stella.
Due pattuglie della stradale sono appostate a cento metri di distanza e la cosa capita quasi sempre.
Eseguono qualche controllo a campione, per lo più trasporti merci. A volte anche grosse cilindrate dalla guida disinvolta o sospetta.
Ci hanno informati poco fa di un conflitto a fuoco alla periferia di Genova, a seguito di un furto d’auto. Pare che alcuni testimoni abbiano visto i malviventi imboccare poi l’ingresso dell’autostrada. Ammesso che sia vero saranno usciti sicuramente prima ma confesso che quel presidio notturno stasera mi conforta.
Il collega alla mia sinistra, che è prossimo alla pensione, dice che se di pattuglia non ci sono carabinieri o polizia di stato non c’è da preoccuparsi.
Ed effettivamente la stradale, seppur a distanza, sembra piuttosto rilassata. Al punto che, intorno alle tre e trenta, le due pattuglie mettono in moto e si allontanano.
Anch’io vorrei allontanarmi da questa notte, fatta di quotidiani già letti e stelle che manco cadranno. Nessun sogno si realizzerà mai dentro un casello e vi odio anche per questo.
Poco dopo le quattro, frantumando il buio all’orizzonte, si avvicina l’abbaglio di due fari.
Rallenta, approcciando la mia uscita.
Il conducente avrà la mia età e una ragazza, forse la fidanzata, dorme distesa sui sedili posteriori.
Cerca il biglietto e me lo porge con una delle solite mani sporche, che odio. Lo ricevo con due dita e, un attimo prima d’inserirlo nel foro di lettura, mi accorgo che è sporco a sua volta; sembra sangue.
Noto inoltre che due finestrini dell’auto sono rotti.
Deglutisco fingendo disinvoltura.
Tento di pulire il tagliando con uno strofinaccio, temendo che la banda magnetica si sia compromessa, obbligandomi ad una barbosa procedura manuale.
La forzata indifferenza alla cosa crolla leggendo il casello d’ingresso: Genova est.
Mentre sento il gelo avvolgere la notte di San Lorenzo guardo istintivamente più avanti, dove sostavano le pattuglie: notte anche lì.
Il conducente se ne accorge e la ragazza dietro si sveglia e si gira, lasciando una traccia rossastra sul rivestimento del sedile.
Lui mi chiede il prezzo del pedaggio, perché il mancato inserimento del biglietto non consente la visualizzazione sul display.
Apre il borsone al suo fianco e, senza neppure guardare, estrae una banconota a caso e me la porge. Faccio in tempo a scorgerne molte altre, mentre gli passo il resto.
La ragazza, quasi con sofferenza, si solleva mettendosi seduta. Lui la guarda preoccupato e poi si rivolge a me.
“Questa macchina è rubata, prendi la targa. Ci serviva per spacciare roba al porto perché dobbiamo dei soldi a certa gente. Non siamo armati ma c’era un posto di blocco e non potevo fermarmi: ci hanno sparato. Dillo tu alla polizia.”
Ingrana e parte, facendo ciondolare all’indietro la testa della ragazza.
Il gelo ora è sudore, misto al suo scappamento.
In lontananza si avvicinano i primi furgoni diretti ai mercati di Milano.
Forse dovrei avvisare qualcuno ma resto immobile a fissare il biglietto con le striature rosso sangue. C’è vita e morte su quel documento di viaggio, emesso da Genova est.
Mi piove addosso lo smarrimento più totale, insieme ad un insolito senso di gratificazione. Quel dramma diventa inaspettatamente un enorme regalo per me, l’insetto del casello.
Per la prima volta ho sentito la vostra strada viaggiare con la mia e le vostre vite fidarsi di me.
Potrei addirittura odiarvi di meno e quei due ragazzi, se non fossi così frastornato, sarei anche capace di ringraziarli.
Peccato che non abbia preso il numero di targa ma tanto la macchina era rubata.
E’ quasi l’alba. Ora una stella potrebbe anche cadere.
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