Tratta da un post pubblicato da Alessandro Siro Campi su FaceBook.
«Un altro valore che in realtà è un disvalore è la tanto osannata “meritocrazia”. La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il “merito”; ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza. Il nuovo capitalismo tramite la meritocrazia dà una veste morale alla diseguaglianza, perché interpreta i talenti delle persone non come un dono: il talento non è un dono secondo questa interpretazione: è un merito, determinando un sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi. Così, se due bambini alla nascita nascono diversi per talenti o opportunità sociali ed economiche, il mondo economico leggerà i diversi talenti come merito, e li remunererà diversamente. E così, quando quei due bambini andranno in pensione, la diseguaglianza tra di loro si sarà moltiplicata.
Una seconda conseguenza della cosiddetta “meritocrazia” è il cambiamento della cultura della povertà. Il povero è considerato un demeritevole e quindi un colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa. Questa è la vecchia logica degli amici di Giobbe, che volevano convincerlo che fosse colpevole della sua sventura. Ma questa non è la logica del Vangelo, non è la logica della vita: la meritocrazia nel Vangelo la troviamo invece nella figura del fratello maggiore nella parabola del figliol prodigo. Lui disprezza il fratello minore e pensa che deve rimanere un fallito perché se lo è meritato; invece il padre pensa che nessun figlio si merita le ghiande dei porci»
(Papa Francesco, Incontro con il mondo del lavoro, Ilva, Genova, 27 maggio 2017, feat. Luigino Bruni)
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